Le prime riforme. Un nuovo modo di fare le leggi.

È opinione condivisa che il modo di produrre le leggi in Italia non assicuri né qualità né tempestività delle norme. Una grande riforma costituzionale avrebbe dovuto affrontare il problema, che ora la è ricacciato nel limbo delle questioni irrisolvibili proprio dai fallimenti della politica.

Eppure dobbiamo ripartire. Con saggezza e buon senso, ma dobbiamo ripartire. E non possiamo che farlo dal miglioramento del sistema “a costituzione vigente”, proponendo una credibile e profonda riforma dei regolamenti parlamentari.

Dovremo anzitutto rivedere il rapporto tra Governo e Parlamento, evitando la patologia della decretazione, ma attribuendo ai disegni di legge di iniziativa governativa una corsia preferenziale.

Andrebbe poi accordata la medesima garanzia alle leggi di iniziativa popolare che abbiano un numero di sottoscrizioni superiori a … , sì da riannodare quel filo spezzato tra Parlamento e popolo, non sul piano del ricatto qualunquistico o delle chimere della democrazia diretta, ma della effettiva discussione in Parlamento di elaborazioni legislative articolate e a consenso diffuso.

Occorre poi metter mano ad una seria riforma delle Commissioni parlamentari, cioè delle articolazioni attraverso le quali il Parlamento opera e legifera, riconnettendo la geografia delle Camere a quella del Paese.

Andrebbero anzitutto ridotte di numero le Commissioni permanenti (anche dimezzandone il numero ed ovviamente rivedendone le competenze per materia),  sì da creare ampli e seri gruppi di esame a competenza legislativa diffusa e coerente con i nuovi scenari di governo e legislazione.

Di conseguenza si porrebbero le basi – democratiche e costituzionali – per rinvigorire e rilanciare l’istituto dell’approvazione decentrata delle leggi direttamente in commissione (cd procedimento in sede legislativa o deliberante), sgravando le Assemblee delle discussioni sui dettagli e riconsegnandole alle questioni e agli indirizzi generali e fondamentali.

Tali proposte – ne siamo convinti – sono possibili e opportune, perché affrontano con concretezza problemi cruciali senza rinviarli ad una futura e incerta riforma costituzionale.

Peraltro, si tratta di riforme in grado di incidere sulla cd “costituzionale materiale” del Paese e, quindi, preparare il terreno ad una riforma costituzionale non più solamente desiderata o, peggio ancora, imposta, ma anticipata dai comportamenti diffusi e coerenti di istituzioni, forze politiche e cittadini. Una riforma che, beninteso, non potrà non far tesoro delle lezioni impartite dalle grandi riforme mancate di questi decenni, e che dunque valorizzi gli argomenti, i comportamenti e lo stile della democrazia rappresentativa (contro gli inganni della democrazia diretta), nonché la persistente volontà del popolo italiano di mantenere il Parlamento al centro della vita politica.